I tracciamenti

Ma cosa sono e a che cosa servono le “prove di tracciamento”, chiamate anche colorazioni?
Queste prove sono il sistema per capire da quale sorgente esce l’acqua che percorre una grotta. Riusciamo così ad individuare a quale bacino idrografico sotterraneo appartiene una grotta.
Ma facciamo un esempio semplice da capire.

Tana dell’Omo Selvatico, colorazione del fiume in ingresso

Siamo in una piccola zona industriale. Li vicino scorre un fiume che da li in poi è fortemente inquinato. Vogliamo sapere chi è che sversa illegalmente. Tutte le fabbriche sostengono che non sono loro ad inquinare il fiume, che sono in regola, che i loro scarichi sono trattati dal depuratore installato a valle dell’insediamento.
Prima di scoperchiare tutti gli scarichi, c’è un sistema più semplice per capire chi è che inquina il fiume. Basta buttare del tracciante negli scarichi di ogni fabbrica. Oggi una, domani un’altra, fin quando il tracciante esce nel fiume invece che nel depuratore. Con poca spesa e poca fatica si capisce chi è che inquina.
Nelle grotte facciamo più o meno la stessa cosa, solo che noi non sappiamo da quale sorgente carsica uscirà il colorante buttato in un fiume sotterraneo. E non sappiamo neanche quanto tempo ci impiegherà in quanto non conosciamo il percorso che dovrà compiere l’acqua e neanche quali rocce o depositi deve attraversare. Forse possiamo immaginarlo, ma la certezza ci viene solo da queste prove.
Ma come funziona una colorazione?

 

 

 
Per prima cosa abbiamo bisogno dei “captori”.

Captore

Dato che non possiamo stazionare giorni e giorni, ma anche mesi o anni a seconda delle situazioni, davanti a tante sorgenti contemporaneamente, abbiamo bisogno di uno strumento che ci registri il passaggio del tracciante. Costruirli è facile. Basta prendere del carbone attivo, tipo quello da acquari, e metterne una cucchiaiata dentro della rete a trama fitta. Va benissimo la rete di plastica da zanzariere. Si chiude il tutto con una fascetta. Per sicurezza, se c’è molta turbolenza nell’acqua, conviene mettere questo captore dentro della rete d’alluminio, in modo da essere sicuri che il nostro prezioso sacchetto non si buchi e perda il carbone.
Questi captori poi li mettiamo nell’acqua di tutte (l’esperienza insegna….) le sorgenti che ci sono nella zona.
Poi dobbiamo immettere il tracciante nella grotta. Se ne possono usare di due tipi. La fluoresceina e il tinopal.

Preparazione fluoresceina

 

Non sono ovviamente tossici, anche se assunti in dosi massicce. L’unico effetto che hanno è quello di colorare l’acqua. La fluoresceina di un verde più o meno brillante, a seconda della concentrazione.

Preparazione Tinopal

Il Tinopal colora invece di azzurro, ed è molto meno visibile. Purtroppo non è sempre facile capire quanto tracciante sciogliere nell’acqua. Se ne mettiamo poco è facile che poi i captori non riescano a rilevarne la presenza nell’acqua. Se ne mettiamo troppo, facciamo verdi i fiumi alle sorgenti. Dipende poi anche dal percorso che deve fare l’acqua. Se il fiume per caso passa attraverso agenti filtranti ad esempio sabbie o depositi di marmettola, oppure se il colorante è scarso, è facile perderne le tracce anche se si utilizzano strumenti sensibili per le analisi dei captori.
A questo punto bisogna aspettare che il tracciante esca dalle sorgenti monitorate.
Ma a noi serve anche sapere con quale velocità e diluizione esce il colorante. Per saperlo basta sostituire spesso i captori. Più spesso lo facciamo, più dati possiamo avere. Indubbiamente il sistema migliore è immergere nella sorgente un campionatore automatico. Questo strumento “legge” ogni minuto l’acqua e registra se e quanto tracciante sta passando e restituisce interessantissimi dati che permettono di capire cosa succede dentro le montagne.