Tutti i marmi delle Apuane

L’AMBIENTE FISICO DELLE ALPI APUANE

Leonardo Piccini

1. Una lunga storia

Le Alpi Apuane rappresentano certamente un territorio molto caratteristico, sotto molti punti di vista, nel panorama italiano; ma due cose, in particolare, lo rendono unico a livello addirittura mondiale: i marmi e le grotte.

I marmi apuani sono famosi in tutto il mondo, fosse solo per il fatto che con essi sono state scolpite alcune delle statue più celebri di tutti i tempi, tra cui quelle di Michelangelo Buonarroti, come il David o la Pietà. Molte meno persone, invece, sanno dell’esistenza di vasti complessi di grotte, con una concentrazione ed una ricchezza morfologica che ha pochi uguali. Marmi e grotte: un connubio indissolubile e per molti versi difficile, visto che proprio l’escavazione dei pregiati marmi rappresenta la maggiore minaccia per questo importante patrimonio speleologico.

Marmi e grotte sono strettamente legati tra loro, essendo caratteri fisici determinati entrambi dalla lunga e complessa storia geologica di questo territorio. Una storia che ha inizio quasi mezzo miliardo d’anni fa.

Il nostro Pianeta, era molto diverso, allora, e i continenti avevano una conformazione e una posizione differente. America meridionale, Europa meridionale e Africa erano uniti in un unico vasto continente, detto Gondwana, e nelle Apuane troviamo rocce depostesi in un antico mare proprio ai margini di questo continente. Oggi hanno l’aspetto di rocce cristalline metamorfiche (le filladi) profondamente deformate durante l’orogenesi ercinica (circa 300 milioni d’anni fa), che segna l’unione di tutte le masse continentali in un super continente, denominato Pangea. Associate alle filladi troviamo rocce vulcaniche del Permiano (i Porfiroidi), che insieme costituiscono il basamento della serie stratigrafica apuana.

Alla fine del Triassico, questo antico continente si frammentò in più pezzi, con la formazione di un ampio braccio di mare tra Europa ed Africa. E’ sulle sponde di questo antico mare, chiamato Tetide, che, circa 250 milioni d’anni fa, inizia la deposizione di sedimenti trasportati dai fiumi (quarziti e conglomerati noti come Verrucano) e poi la formazione di estese piattaforme coralline, da cui avranno origine Grezzoni, Marmi e Calcare Massiccio.

La sedimentazione prosegue tranquilla, in un ambiente marino soggetto a lento sprofondamento sino a poche decine di milioni di anni fa, e si chiude con sedimenti sabbiosi di fondo oceanico. E’ in questa fase che i movimenti reciproci tra Europa ed Africa cambiano, la Tetide inizia a mutare la propria forma e a richiudersi. Le rocce depostesi sono sottoposte a spinte tangenziali e si vanno accavallando l’una sull’altra a partire da circa 30 milioni d’anni fa.

Alcune porzioni di rocce crostali sono spinte a grande profondità (circa 10 km) e sono riscaldate e deformate. Gli antichi calcari di scogliera si trasformano in marmi, le cui venature evidenziano l’intensa deformazione che hanno subito. Il risultato è una roccia compatta, con colorazioni variabili da bianco latte al grigio scuro, spesso venata o macchiata, a grana cristallina; quanto di meglio si possa trovare per farne lastre lucide o suppellettili in pietra.

La formazione delle grotte, è storia molto più recente e riguarda solo gli ultimi tre milioni di anni. Quando le spinte tangenziali vengono progressivamente meno, l’enorme pila di rocce sedimentarie si frammenta, ed alcune porzioni risalgono, con lenti movimenti tettonici, a causa della spinta litostatica. Le Alpi Apuane sono una di queste porzioni, risalite sino a portare in affioramento le rocce più antiche del basamento.

La catena apuana nasce probabilmente solo qualche milione di anni fa. Via via che i marmi e le altre rocce calcaree sono messe a nudo dall’erosione, le acque meteoriche cominciano ad insinuarsi in profondità, lungo le fratture prodotte dalla tettonica, e cominciano a scavarvi cavità sotterranee sempre più estese e profonde. I marmi si rivelano le rocce più adatte a questo processo, essendo praticamente privi d’impurità.

Via via che la catena montuosa prende forma, per il continuo sollevamento, da una parte, e l’erosione dei fiumi, dall’altra, le acque abbandonano progressivamente le valli superficiali per scorrere in profondità, lungo vie sotterranee sempre più estese che le portano verso poche grandi sorgenti. E’ così che si formano i vasti complessi sotterranei, di cui solo da pochi anni stiamo diventando consapevoli.

2. Assetto geografico e morfologico

2.1 Inquadramento geografico

Le Alpi Apuane, benché appartenenti all’Appen­nino Settentrionale, si individuano come una dorsale montuosa con caratteristiche geografiche e geologiche ben distinte.

La catena, allungata in direzione NW-SE per una lunghezza di circa 50 km e una larghezza di una ventina, è compresa tra il corso del Serchio e la linea di costa versiliana dalla foce del Serchio a quella del Magra. Lo spartiacque principale corre in forma leggermente arcuata per circa 35 km, dal Pizzo d’Uccello (1782 m) a N sino al M. Vallimona (810 m) a S. La vetta più alta è quella del M. Pisanino (1947 m), staccata verso NE dallo spartiacque principale.

Localizzazione geografica delle Alpi Apuane

Una serie di creste secondarie che si spingono verso SW determinano una serie di bacini che sfociano direttamente nella pianura versiliese: si tratta, da N verso S, dei bacini del Torren­te Carrione, Torrente Frigido, Torrente Vezza e Fosso di Camaiore. Il versante interno presenta, invece, lunghe linee displuviali secondarie che individuano una serie di bacini paralleli tributari del Serchio. Questi bacini sono, da N verso S e tralasciando i minori, quelli del Serchio di Gramolazzo, Torrente Edron, Turrite Secca, Turrite di Gallicano, Turrite Cava e Torrente Pedogna. Rivolti verso N troviamo, infine, il bacino del Torrente Lucido, e il bacino del Torrente Bardine.

I due versanti principali della catena, quello sud-occidentale e quello nord-orientale, hanno caratteristiche morfologiche abbastanza diverse. Il versante marino presenta scoscesi valloni, profondamente incassati, che precipitano dalle cime princi­pali con dislivelli che superano i 1500 m; i reticoli idrografici sono per lo più di tipo dendritico con irregolarità legate alla struttura geologica e a fenomeni di cattura. Il versante che guarda la valle del Serchio presenta, invece, morfologie più dolci e vallate meno profonde; il reticolo idrografico ha un andamento più regolare e meno condizionato dalla struttura.

Il rilievo si presenta con forme accentuate caratterizzate da creste affilate, pendii ripidi e vere e proprie pareti alte fino a 600 m. La scarsa vegetazione presente sulle cime maggiori, dovuta principalmente alla natura calcarea delle rocce affioranti, esalta il contrasto di forme con le aree ove affiorano le rocce scistoso-argilloso-arenacee che presentano morfologie più dolci e una maggiore copertura boschiva.

Foto panoramica del massiccio visto da NW (foto Piccini)

Le Apuane conservano in modo evidente i segni lasciati dalle ultime glaciazioni. Le forme glaciali più vistose si hanno sui versanti settentrionali e nord-orientali delle cime maggiori. Valloni modellati da piccoli ghiacciai o da nevai perenni si ritrovano anche su versanti che guardano a W e a S. Ingenti accumuli moreni­ci, spesso abbondantemente rimaneggiati dai torrenti, si trovano in partico­lare nelle vallate di Gramolazzo, Gorfigliano e Vagli.

Uno degli aspetti morfologici più interessanti delle Alpi Apuane è quello legato al carsismo, che però non si presenta, salvo alcune zone, con fenomeni superficiali particolarmente vistosi. Mancano del tutto forme carsiche a grande scala, tipo “polje”, valli cieche e bacini chiusi.

Sempre a livello generale vale la pena di segnalare la presenza di solchi vallivi fortemente incassati che localmente possono assumere l’aspetto di veri e propri “canyon”, come nel caso della Turrite Secca e della Turrite di Gallicano e di alcuni loro affluenti.

2.2. Il clima

Il clima delle Apuane è di tipo temperato-umido, condizionato dalla vicinanza al mare e dalla esposizione ai venti occidentali. Il carattere dominante è dato dalle precipitazioni pari a circa 2500 mm annui in media, tra le più elevate d’Italia. La situazione orografica è però tale da far sì che nelle zone a quote maggiori ed esposte ad W le precipitazioni medie possano raggiungere i 3500 mm/anno. La tabella 1 riporta i valori di precipitazione media relativi al periodo 1950-1995 di alcune stazioni pluviometriche situate sul massiccio apuano

Particolarmente rilevanti sono i valori di Orto di Donna e Campagrina, che supera i 3000 mm di precipitazioni, pur essendo una stazione di fondovalle. E’ noto che le precipitazioni aumentano con la quota, ma tale incremento non è lineare e risente di molti altri fattori. Probabilmente la piovosità non risente delle strette valli incassate che si trovano a ridosso delle dorsali più elevate, perciò i valori molto alti rilevati alle stazioni di Orto di Donna, Campagrina e Fornovolasco (tutte stazioni situate sui versanti interni), corrispondono probabilmente a quelli di fasce altimetriche superiori.

Buona parte delle piogge cade in autunno e nella tarda primavera; la neve cade nei mesi di Dicembre, Febbraio e Marzo. I maggiori valori di precipitazione si hanno nei mesi di Novembre e Dicembre, compresi tra 400 e 500 mm, mentre i valori minimi si hanno nei mesi di Luglio e Agosto, con valori medi di poco superiori a 100 mm.

Le temperature medie risentono della benefica influenza del mare. In funzione della esposizione e della situazione topografica si possono comunque avere condizioni microclima­tiche particolarmente fredde anche a quote relativamente basse.

La mancanza di stazioni termometriche in quota non permette di stimare le temperature medie annue nelle diverse condizioni orografiche. La temperatura media della zona montuosa, calcolata con formule empiriche proposte da vari autori su una quota di 1000 m s.l.m., può essere stimata in 7-8 °C per il versante marino e in 5-7 °C per quello interno.

Tabella – Precipitazioni medie nel periodo 1951-1995 nelle Alpi Apuane (da: Piccini et al., 1999)

Stazione

Quota

(m s.l.m.)

P media 1951-1995

(mm)

Castelpoggio

540

1865

Belvedere

1261

1925

Carrara

112

1377

Massa

65

1208

Casania

343

2034

Gramolazzo

614

1643

Orto di Donna

1100

2868

Vagli Sotto

562

2009

Campagrina

850

3058

Isolasanta

585

2623

Castelnuovo

276

1654

Fornovolasco

470

2416

Polla dei Gangheri

300

2140

La polla

600

2219

Terrinca

485

1912

Retignano

440

1885

Gallicano

186

1846

Palagnana

710

2436

Pietrasanta

22

1139

Camaiore

47

1410

3. Geologia

L’assetto geologico-strutturale delle Alpi Apuane è assai complesso e di non facile comprensione anche per degli “addetti ai lavori”. Nei paragrafi che seguono sarà fatta una sintesi, usando un linguaggio il più semplice possibile, dei caratteri geologici e tettonici delle Apuane, con un occhio di riguardo a quelli che più interessano l’attività speleologica.

3.1. Cenni generali

Le Alpi Apuane fanno parte del settore settentrionale dell’Appennino, un tipico esempio di catena montuosa “a falde”. Si tratta cioè di una catena formatasi per l’accavallamento di più unita tettonico-stratigrafiche, sovrascorse l’una sull’altra in seguito a movimenti compressivi di scala regionale. Pertanto la sovrapposizione geometrica attuale delle diverse formazioni geologiche non rispecchia più quella originaria di sedimentazione.

Le unità tettonico-stratigrafiche che costituiscono l’Appennino Settentrionale comprendono delle successioni di rocce sedimentarie di ambiente quasi esclusivamente marino depostesi in bacini sedimentari tra loro contigui. Questi bacini occupavano, durante l’era Mesozoica, i fondali di un antico mare (la Tetide), che si trovava tra Europa ed Africa in una posizione non molto diversa da quella occupata attualmente dal Mediterraneo occidentale. I bacini sedimentari situati nella parte più profonda di questo mare avevano un substrato costituito da crosta di tipo oceanico, cioè da rocce basaltiche di origine profonda, mentre quelli più vicini ai paleomargini europeo e africano avevano un substrato di tipo continentale, costituito cioè da rocce di tipo granitico e metamorfico. I bacini con substrato oceanico sono detti appartenere al Dominio Ligure, mentre quelli con crosta continentale del margine africano appartengono al cosiddetto Dominio Tosco-Umbro-Romagnolo: le rocce affioranti nelle Alpi Apuane fanno parte tutte di questo secondo dominio paleogeografico.

Schema tettonico delle Alpi. 1)Unità delle Alpi Apuane (a=copertura, b=basamento); 2) Unità di Massa; 3)Falda Toscana; 4) Unità liguri; 5) depositi continentali quaternari; 6)depositi alluvionalli e costieri attuali e recenti; 7) faglie principali

3.2. Stratigrafia

Nelle Alpi Apuane affiorano formazioni metamorfiche riconducibili a due distinte unità tettoniche: l’Unità delle Alpi Apuane e l’Unità di Massa. Tettonicamente sovrapposta si trova, ai margine della catena, la Falda Toscana, la cui successione stratigrafica ricalca quella della Unità delle Alpi Apuane.

Unità delle Alpi Apuane (“Autoctono” Auct.)

La successione comprende un basamento scistoso-filladico ercinico e una coper­tura prevalentemente carbonatica di età compresa fra il Trias medio-superiore e l’Oligocene superiore.

Il basamento è costituito da filladi quarzitico-muscovitiche (Filladi Inferiori – Cambriano sup. ? -Ordoviciano inf. ?) e da metavulcaniti acide (Porfiroidi – Ordoviciano medio ?) e loro derivati clastici (Scisti Porfirici), ai quali seguono quarziti e filladi, talora grafitose, con lenti di dolomie cristalline (Dolomie ad Orthoceras – Silurico) nella parte superiore,

La copertura ha inizio con depositi grossolani costituiti prevalentemente da ciottoli quarzosi di ambiente continentale, di età medio-triassica (“Verrucano”), su cui localmente poggiano metarenarie e filladi, con livelli e lenti carbonatiche (Formazione di Vinca – Carnico-Norico). A queste formazioni, discontinue e di spessore limitato, fanno seguito le facies di piattaforma, prima prevalentemente dolomitiche, rappresentate dai Grezzoni, e poi soprattutto calcaree con i Marmi Dolomitici e i Marmi s.s.. La successione di piattaforma ha età compresa fra il Norico e il Lias inferiore e spessore totale variabile da 300 a 800 m. Il passaggio da litologie dolomitiche a calcaree è frequentemente segnato da livelli discontinui di brecce calcareo-dolomitiche a matrice filladica, conosciute come Brecce di Seravezza, o da lenti di Scisti a Cloritoide (Hettangiano).

L’elevata inclinazione dei Grezzoni sul versante del monte Grondilice (foto Piccini)

Un sottile e discontinuo livello di metacalcari rosati segna il passaggio a calcescisti e poi a metacalcari grigi con liste e noduli di selce ricristallizzata (Calcari Selciferi – Lias medio-sup.), cui seguono delle metaradiolariti di colore da rosso vivo a verde scuro del Malm (Diaspri e Scisti Diasprini). Sopra i Diaspri troviamo ancora marmi impuri con selce ricristallizzata del Dogger-Cretacico inferiore, denominati Calcari Selciferi a Entrochi. Al tetto di questi si ha un passaggio graduale ad una successione costituita prevalentemente da filladi sericitico-cloritiche (Scisti Sericitici), con lenti e membri di calcescisti (Marmi Cipollini), del Cretacico-Paleogene, cui seguono delle metatorbiditi silicoclastiche di età oligocenica, denominate Pseudomacigno per le attinenze con il Macigno della successione toscana non metamorfica.

Tutte le formazioni sono state interessate da metamorfismo regionale di basso grado in facies di scisti verdi.

Colonne stratigrafiche semplificate delle successioni delle unità del Complesso Metamorfico Apuano e della falda Toscana.

Unità di Massa

E’ costituita da una successione di tipo toscano, ridotta tettonicamente ai soli termini inferiori, poggiante su di un basamento simile a quello della Unità delle Alpi Apuane. L’Unità è caratterizza­ta da un metamorfismo di grado più elevato rispetto a quello dell’Unità delle Alpi Apuane. Sulle metamorfiti paleozoiche si succedono due brevi cicli sedimentari costituiti prevalentemente da depositi clastici grossolani separati da depositi di piattaforma rappresentati da marmi con rari livelli dolomitici e abbondanti crinoidi (Marmi a Crinoidi – Ladinico) sormontati localmente da brecce marmoree.

Falda Toscana Auct.

La “Falda Toscana” rappresenta l’unità non metamorfica del dominio Toscano. Nell’area apuana, al di sopra di un orizzonte di brecce di origine tettonico-sedimentaria, interposte tra Falda e nucleo metamorfico (Calcare Cavernoso s.l.), troviamo una successione carbonatica costituita sia da facies di mare basso (Calcari e Marne a Rhaetavicula contorta) o di piattaforma (Calcare Massiccio), che di mare più profondo (Calcari ad Angulati), di età compresa tra il Retico e l’Hettangiano.

Al di sopra di un orizzonte discontinuo di calcari rossi nodulari ricchi di ammoniti (Rosso Ammonitico – Sinemuriano), che chiude il ciclo di piattaforma, troviamo una successione pelagica, cioè di mare aperto, di età compresa tra il Lias e il Cretaceo inferiore, che ha inizio con calcari selciferi (Calcare Selcifero a selci chiare, o di Limano), sormontati dalle Marne a Posidonia. Nella zona orientale e meridionale delle Apuane al di sopra delle marne troviamo un nuovo orizzonte di calcari selciferi (Calcare Selcifero a selci nere, o della Val di Lima). Seguono i Diaspri a cui si sovrappone una potente sequenza di calcari fini cerulei con lenti e noduli di selce denominati Maiolica (Titonico-Neocomiano). Con il Cretaceo l’intorbidamento del mare, in seguito ad apporti terrigeni fini, provoca la sedimentazione di argilliti e marne (Scisti Policromi) a cui si intercalano rilevanti sequenze di torbiditi calcaree (Calcareniti a Nummuliti). Nell’Oligocene la sedimentazione diviene prevalentemente torbiditica, ma di natura silico-clastica, per gli apporti di materiale sabbioso proveniente dalla catena alpina in sollevamento. Tali facies arenacee costituiscono la formazione del Macigno (Oligocene sup. – Miocene inf.) con cui ha fine il ciclo sedimentario alpino.

3.3. Tettonica

Il Complesso Metamorfico Apuano è strutturato in una serie di grandi pieghe a geometria isoclinale (cioè con i fianchi paralleli) prodottesi in seguito ad un evento deformativo complesso, che ha inizio nell’Oli­gocene, e responsabile del metamorfismo di più alto grado. A questa prima fase è associata una scistosità di piano assiale, per lo più parallela alle superfici litologiche, che spesso sostituisce l’originaria stratificazione. Una fase tardiva, più blanda e contemporanea del sollevamento in blocco del massiccio apuano, ha generato pieghe aperte simmetriche che ondulano le strutture di prima fase. Le analisi radiometriche compiute su fillosilicati mostrano l’esistenza di almeno tre fasi metamorfiche, datate rispettivamente a circa 27, 14 e 11 milioni di anni.

Pieghe metriche su un affioramento di Calcari Selcifero metamorfici, che mettono in evidenza l’intensa deformazione subita dalle rocce (larghezza circa 100 cm) La stessa deformazioni si ritrova anche a scala chilometrica (foto Piccini)

Nell’ambito di questa complessa struttura si possono distinguere una serie di strutture tettoniche di primo ordine appilate l’una sull’altra e con vergenza generale verso NE. Partendo da W, e quindi andando dalle unità strutturali geometricamente superiori verso quelle inferiori troviamo:

– l’Unità di Massa – strutturalmente complessa e separata dall’Unità delle Alpi Apuane da una superficie tettonica di sovrascorrimento;

– la Sinclinale di Carrara – la più occidentale tra le grandi strutture che costituiscono l’edificio apuano;

l’Anticlinale di Vinca – la maggiore tra le pieghe delle Apuane e quella in cui il basamento è maggiormente implicato;

– la Sinclinale di Orto di Donna / M. Altissimo / M. Corchia – anch’essa molto sviluppata, racchiude tutti i termini della successione apuana;

– l’Anticlinale di Monte Tambura – fortemente strizzata nel nucleo che verso N è costituito da lembi sradicati di basamento.

Ad Est di questa struttura le successive sinclinali e anticlinali si presentano strettamente serrate tra loro e fortemente laminate.

Nelle Apuane sud-orientali, il Gruppo delle Panie si presenta come una sotto-unità tettonica a sé stante, insieme alle cosiddette “Scaglie dello Stazzemese”, individuata da una zona di taglio tardiva.

La tettonica a faglie è, nel nucleo metamorfico, poco sviluppata e comunque mai tale da dare rigetti importanti all’affioramento. La pur intensa tettonica fragile ha portato allo sviluppo di più sistemi di fratture, anche molto sviluppate, che però non assumono, salvo poche e localiz­zate eccezioni, le caratteristiche di faglie.

Tettonicamente sovrapposta al nucleo a deformazione metamorfica delle Apuane si trova la Falda Toscana, a sua volta sormontata dalle Unità Liguri. La storia tettonica di questa unità è ancora per molti aspetti controversa, in particolar modo sui tempi e le modalità del sovrascorrimento. Al di là della interpretazione cinematica, l’assetto strutturale della Falda Toscana è caratterizzato da una serie di anticlinali e sinclinali ad asse appenninico e con vergenza sud-occidentale, per quelle del versante tirrenico, e nord-orientale per quelle della Garfagnana.

La Falda Toscana è interessata da un’intensa tettonica distensiva plio-pleistocenica, in cui le faglie principali hanno direzione appenninica e rigetti notevoli; questi sistemi di faglie hanno determinato l’affossamento dei maggiori bacini periapuani. A queste faglie prin­cipali sono associate numerose faglie minori sintetiche e antitetiche, più varie faglie trasversali con direzione prevalentemente SW-NE, alcune delle quali a carattere trascorrente. .

La tettonica distensiva, che ha determinato la formazione dei bacini neogenici periapuani, ha avuto inizio nel tardo Miocene con la formazione del bacino di Lucca e della Versilia. Durante il Pliocene si assiste ad una progressiva migrazione verso N e NE dell’attività tettonica, con lo spro­fondamento del graben del Serchio e di quello della bassa e alta Val di Magra.

4. Il carsismo

Le Alpi Apuane sono una delle aree carsiche più importanti d’Europa. In essa si trovano la più vasta e la più profonda grotta della penisola (Il Complesso del Corchia, con oltre 60 km di sviluppo, e l’Abisso Roversi, profondo 1350 m). Questo ne fa una delle aree più studiate dal punto di vista speleologico, del mondo.

4.1 Carsismo superficiale

Il carsismo superficiale, al contrario di quello sotterraneo, non è particolarmente svilup­pato, soprattutto per quanto riguarda i fenomeni a scala media e grande. Ciò accade a causa dell’elevata acclività della maggior parte delle aree di affioramento delle rocce carbonatiche.

Le forme carsiche si manifestano soprattutto a scala piccola o medio-piccola, in zone che risultano caratterizzate da una morfologia accidentata, un coefficiente di infiltrazione elevato e da una scarsa copertura vegetale. Le forme più diffuse sono solchi e scannellature di varie forme e dimen­sioni, vaschette, e creste dentellate. Laddove la roccia si presenta intensamente fratturata le acque tendono ad infiltrarsi dando origine a carsi a “trincee” o a “blocchi”, a seconda che le fratture in cui si ha la maggiore corrosione appartengano a una o più famiglie. Quest’ultimo tipo di paesaggio è particolarmen­te diffuso nelle fasce di quota superiori dove si ha una maggiore persistenza del manto nevoso.

Le litologie dove le forme a piccola scala sono più diffuse sono quelle dei calcari praticamente puri, ovvero i Marmi e il Calcare Massiccio. Morfologie analoghe anche se meno accentuate si trovano anche sui livelli di calcari dolomitici e dolomie meno fratturati, nei livelli marmorei più potenti dei Calcari Selciferi, nonché nelle bancate a composizione prevalentemente carbonatica delle formazioni della successione toscana non metamorfica.

Le doline versante settentrionale del M. Sumbra (foto Piccini)

Le Apuane non sono particolarmente ricche di doline. Fanno eccezione alcune zone: Carcaraia, M. Pisanino, M. Sagro, M. Sumbra, ove si ritrovano numerose depressioni carsiche, per lo più prive di copertura, con dimensioni che variano da poco più di un metro di diametro sino a qualche decina. Durante l’inverno esse raccolgono le preci­pitazioni nevose e le conservano sino all’inizio dell’estate. La loro profondità è generalmente abbastanza alta rispetto al diametro e si possono trovare tutti gli stadi di passaggio ai “pozzi a neve”. Doline coperte da una coltre più o meno spessa di detrito sono concentrate in zone ristrette localizzate soprattutto nelle aree di affioramento del Calcare Cavernoso (Torre di Monzone) e delle rocce calcaree della Falda Toscana (M. Matanna, M. Croce e M. Penna).

La maggior parte delle doline si trova in aree relativamente poco pendenti rivolte verso i quadranti nord-orientali. Sui versanti che guardano verso S o SW, mediamente più acclivi, non vi sono praticamente doline e quelle poche sono spesso localizzate in zone di cresta o in corrispondenza di selle. Doline, o resti di doline, situate in prossimità o addirittura a cavallo di creste e selle anche molto marcate sono abbastanza frequenti. In più di un caso è lecito ipotizzare che queste forme si siano sviluppate in una situazione morfologica in cui il rilievo era se non altro meno accentuato.

Il numero di doline riconosciute e di circa 180, con una densità media di circa 0,5 doline/km2; valore piuttosto basso se confrontato con quello di certe aree carsiche dove si hanno anche più di 100 doline/km.

Distribuzione altimetrica per fasce di quota degli ingressi di grotta

Riguardo agli ingressi delle grotte, il Catasto delle Grotte della Toscana ne riporta attualmente oltre 1000 a cui vanno aggiunti i molti ingressi che, non dando accesso a cavità carsiche degne di nota, non sono registrati. In molti casi la loro apertura è legata a processi non carsici quali, ad esempio, il crollo della volta di cavità sotterranee, l’incisione dei solchi vallivi, o l’erosione per opera dei ghiacciai.

Le aree delle Apuane dove si ha la maggior concentrazione di ingressi sono quelle già citate per quanto riguarda le doline. La Carcaraia e la Vetricia sono le zone con il più alto numero d’ingressi, con oltre 150. Altre zone ricche di ingressi sono quella del Monte Sagro, del versante settentrionale del M. Pisanino, l’area subito a NW del M. Sumbra e quella subito a NE del Monte Altissimo. La quasi totalità di questi ingressi ha sviluppo verticale funge da cavità assorbenti. Lungo i versanti e alle quote più basse si trovano invece cavità messe alla luce dall’arretramento dei versanti e, nelle valli, ingressi di grotte che funzionano o hanno funzionato da sorgenti.

Un ingresso a pozzo, parzialmente ostruito dalla neve, sul versante settentrionale del M. Fiocca (foto Piccini)

La distribuzione altimetrica per fasce di quota mostra come buona parte degli ingressi (circa il 40%) si trova concentrata tra i 1400 e i 1600 m di quota (con il massimo assoluto tra i 1450 e 1500 m); tale valore è tanto più significativo se si considera che queste fasce altimetriche sono arealmente meno sviluppate di quelle situate a quote inferiori. Questa distribuzione è dovuta principalmente alla naturale struttu­razione di un sistema carsico con numerosi punti di entrata in quota e pochi punti di uscita verso il livello di base.

E’ probabile che un’azione non trascurabile nella apertura di ingressi transitabili all’uomo l’abbia avuta l’azione esarativa dei ghiacciai; il che spiega il loro aspetto di cavità “troncate”. In altre parole si può ritenere che i ghiacciai wurmiani abbiano messo alla luce grotte altrimenti non comunicanti con l’esterno attraverso passaggi pratica­bili dall’uomo.

Un discreto numero di cavità, circa il 15 %, si apre in aree di cresta situate a quote elevate e caratterizzate da un notevole sviluppo longitudinale. Molte di queste sono cavità “relitte” formatesi in condizioni morfologiche diverse dalla attuale.

Distribuzione dei principali sistemi carsici delle Alpi Apuane: 1) depositi fluvio-lacustri e costieri; 2) rocce carbonatiche non metamorfiche (a) e metamorifiche (b); 3) rocce non carbonatiche; 4) principali grotte; 5) principali sorgenti carsiche

4.2 Distribuzione delle cavità carsiche

La maggior parte delle principali grotte delle Apuane si trova concentrata nella zona centro-orientale di affioramento delle formazioni metamorfiche dell’Unità Apuana. In tutta la parte sud-orientale, quella dove affiorano le formazioni della Falda Toscana, le cavità conosciute sono in numero minore e soprattutto di dimensioni minori.

Le cavità a sviluppo prevalentemente verticale si trovano soprattutto lungo l’asse della catena e nell’intorno delle cime principali. In particolare, le zone a maggior concentrazione appaiono essere quelle della Valle d’Arnetola, del M. Tambura e del M. Sagro. Tale distribuzione è in accordo con la loro funzione idrogeologica attuale che è quella di trasferimento delle acque dalle zone alte di infiltrazione sino al livello della zona satura. Le cavità a sviluppo prevalentemente orizzontale si trovano invece ai margini delle strutture carbonatiche e prevalentemente in corrispondenza di solchi vallivi. Tali cavità sono ovviamente concentrate nelle zone di recapito delle acque sotterranee, e nella maggior parte dei casi funzionano ancora come cavità-sorgenti perenni o di troppo pieno.

Analizzando la distribuzione altimetrica dei condotti freatici all’interno dei sistemi carsici attualmente conosciuti si osserva la presenza di fasce di quota preferenziali che sembrano indicare più momenti di sviluppo preferenziale di livelli carsici. I livelli più alti, quelli del Corchia in particolare, sono riferibili alle prime fasi di sviluppo dei fenomeni carsici in una situazione morfologica ben diversa dall’attuale. I livelli intorno ai 1200 m di quota sono quelli quantitativamente più sviluppati ma si trovano praticamente nel solo Corchia. Scendendo di quota l’altro livello ben svilup­pato è quello intorno a 900 m che potrebbe corrispondere ad una fase di relativa stasi del livello di base. A quote ancora inferiori si nota un maggiore addensamento di livelli carsici, che ora si trovano diffusi all’intorno del massiccio apuano e molti dei quali corrispondono all’attuale livello di base carsico.

Un classico pozzo della zona vadosa (foto Piccini)

4.3 Evoluzione spazio-temporale dei fenomeni carsici

E’ probabile che la zona ove si concentrano le morfologie freatiche di alta quota corrisponda a quella ove si sono avuti i primi importanti affioramenti delle forma­zioni carbonatiche metamorfiche. In base a quello che si sa sulla storia morfo-tettonica recente delle apuane, ciò dovrebbe essersi verificato verso la metà del Pliocene, circa 3 milioni di anni fa. Indizi morfologici di vario genere rendono possi­bile ipotizzare che questa fascia corrisponda ad un antica depressione con orientamento NW-SE.

Gli affioramenti carbonatici situati a SW di questa fascia centrale dovevano essere coperti, durante le prime fasi di sviluppo di fenomeni carsici, dalle rocce dell’Unità di Massa o da quelle, rovesciate, del basamento dell’Unità Apuana. Queste costituivano una barriera impermea­bile in grado di contenere gli acquiferi carsici già esposti, condizionandone il drenaggio verso SE. A NE di questa fascia, invece, le formazioni carbonati­che si trovavano al di sotto di lembi delle coltri alloctone non ancora erosi.

L’esistenza di un carsismo antico è dimostrata dalle numerose cavità “relitte” che si trovano lungo le creste più elevate della catena apuana a quote gene­ralmente superiori a 1500. A questa prima fase di sviluppo di fenomeni carsici profondi va probabilmente anche riferita la formazione delle più elevate e antiche gallerie del Corchia (quelle situate intorno ai 1400 m).

Distribuzione altimetrica per fasce di quota delle condotte freatiche ed epifreatiche delle principali grotte delle Alpi Apuane.In blu sono evidenziate le condotte relative al Complesso Carsico del M.Corchia, in verde quelle dei tutte le altre grotte

Una fase di sollevamento dell’intero massiccio apuano, verificatasi durante il Pleistocene inferiore, potrebbe essere la causa principale di un’intensa attività erosiva lungo i margini della catena che avrebbe portato ad un’incisione delle soglie impermeabili occidentali. L’abbassa­mento del livello di base carsico verso W avrebbe permesso lo sviluppo di altri sistemi carsici, di cui si trovano le tracce in diverse cavità del versante marino intorno ai 900-1000 m di quota, privando progressivamente il Corchia degli apporti provenienti dal suo bacino di alimentazione.

Durante questa fase di intensa erosione delle Apuane, testimoniata dagli accumuli di conglomerati nei bacini periapuani, i fenomeni di carsismo avrebbero progressiva­mente interessato aree sempre più vaste andando a svilupparsi sulle rocce carbonatiche messe progressivamente a nudo con particolare intensità nelle zone a minor pendenza, probabili residui del ciclo di “maturazione” del rilievo riferibile alla fase di stasi precedente.

Il progressivo abbassamento delle soglie impermeabili ha probabilmente visto un periodo di stop attestandosi intorno ai 700 m di quota; questo giustificherebbe il netto sviluppo di morfologie freatiche a quote di poco inferiori, che si trovano in molte delle grotte apuane. Questa ulteriore fase di stasi avrebbe, infatti, permesso di raggiungere una situazione di equi­librio, in cui cioè il livello di base carsico coincideva con quello idrogeo­logico, su entrambi i versanti delle Apuane, con lo sviluppo di sorgenti carsiche alle stesse quote.

Il “Canyon” del Corchia, un classico esempio di condotta freatica approfondita per scorrimento a pelo libero (foto Piccini)

E’ probabilmente in questa fase, in cui le Apuane si delineavano già come una catena montuosa dall’assetto non molto diverso dall’attuale, che si assiste all’affioramento di rocce carbonati­che della successione metamorfica nelle porzioni più nord-orientali. In queste zone i fenomeni carsici che vi si sviluppano trovano dunque un livello di base carsico già fortemente ribassato e danno origine a cavità caratterizzate da sviluppo prevalentemente verticale, costituite da ambienti sviluppatisi in condizioni prevalentemente vadose, dalla superficie sino al livello della zona satura. E’ quanto si osserva, ad esempio, per i numerosi abissi che si aprono nella zona della Valle d’Arnetola.

Un’ulteriore e ormai recente fase di sollevamento ha provocato una nuova incisione delle soglie impermeabili, ed un conseguente ulteriore abbassamento del livel­lo di base, sul solo versante marino. Ciò è stato favorito dalla giacitura spesso rovesciata del tetto del basamento, che ha portato a veloci e considerevoli abbassamenti dei punti di trabocco anche a seguito di approfon­dimenti relativamente modesti dei solchi vallivi. Questo fatto spiega anche le cospicue catture che si hanno per via sotterranea da parte dei bacini del lato marino rispetto a quelli del versante nord-orientale. Tra questi il cui caso più eclatante è quello del Bacino del Frigido, dove circa il 30 % delle acque proviene da aree situate nei bacini attigui.

Nella situazione attuale, se le sorgenti hanno già raggiunto o quasi le quote dei punti di trabocco idrogeologico abbandonando i vecchi punti di emergenza corrispondenti alle numerose cavità che si trovano intorno ai 500 m di quota, lo stesso non è avvenuto per il livello della superficie piezometrica (segnata dalle quote dei sifoni presenti al fondo di numerosi degli abissi apuani) all’interno dei principali massicci carsici. E’ quanto si osserva nelle parti più profonde dell’Abisso Olivifer, ove si ha una zona di condotte freatiche in fase di svuotamento e caratterizzata da ampie oscillazioni della superficie piezometrica che indicano l’esistenza di una non ancora ben sviluppata rete di drenaggio.

Il non equilibrio tra zone di emergenza e quota delle zone sature è dimostrato anche dai valori dei gradienti idraulici negli acquiferi carsici drenati dalle sorgenti del versante marino. In questi si hanno, infatti, gradienti dell’ordine del 5 %, valore abbastanza elevato per degli acquiferi carsici e comunque decisamente più alto di quelli che si riscontrano negli acquiferi drenati dalle sorgenti del versante garfagnino e che si aggirano intorno a 0.2-0.3 %.

Per saperne di più

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